LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 25
17 aprile 2016 – 4^ Domenica del Tempo di Pasqua
Ciclo liturgico: anno C
Io sono il buon pastore, dice il Signore;
conosco le mie pecore, e le mie pecore conoscono me.
Giovanni 10,27-30 (At 13,14.43-52 - Salmo: 99 - Ap 7,9.14-17)
O Dio, fonte della gioia e della pace, che hai affidato al potere regale del tuo Figlio le sorti degli uomini e dei popoli, sostienici con la forza del tuo Spirito, e fa' che nelle vicende del tempo, non ci separiamo mai dal nostro pastore che ci guida alle sorgenti della vita.
I versetti 1-26 non li ascolteremo domenica, li ho inseriti per dare completezza al discorso di Gesù.
Spunti per la riflessione
L’odore delle pecore
Oggi parliamo di pastori, come ogni quarta domenica di Pasqua.
Gesù si propone come pastore cosa che non stupisce in un paese in cui la pastorizia era una delle principali fonti di sussistenza. Ed è l’occasione, nella Chiesa, per interrogarci su chi è Chiesa e su come, in questa Chiesa, ognuno abbia delle responsabilità reciproche e sul fatto che alcuni fratelli siano chiamati a indicare il Pastore e a radunare attorno a lui il gregge.
La vita è un tempo che ci è dato per imparare ad amare.
Scoprirsi amati da Dio scoprire in lui la sorgente dell’amore è l’esperienza più bella che possiamo fare e questa esperienza è il cuore dell’annuncio della Chiesa.
Anche in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo (ma esistono tempi “facili”?).
Oggi vogliamo ascoltare la parola del Pastore, l’unico, che ci incoraggia e ci sprona ad avere fiducia nel Padre.
Pastore grintoso
Tutti pensiamo al pastore che va in cerca della pecora che si è persa e che la riporta caricandosela sulle spalle. Immagine dolcissima e commovente che ci consegna Luca e che, in trasparenza, svela l’esperienza interiore dell’evangelista. Ma il pastore di Giovanni, quello di cui si parla nel vangelo di oggi, assume altre caratteristiche: è duro e determinato e lotta strenuamente per difendere il gregge dai lupi e dai mercenari. Un pastore che veglia, che lotta, disposto a dare la propria vita per la salvezza del gregge, diversamente da come fanno i pastori per professione.
Gesù ci sta dicendo che siamo nelle sue mani, in mani sicure, che nessuno ci strapperà mai dal suo abbraccio, che solo in lui riceviamo la vita dell’Eterno. Ma per seguirlo occorre ascoltarlo e riconoscere la sua voce, cioè frequentare la sua Parola, meditarla assiduamente.
Quella Parola che diventa segno della sua presenza, che illumina ogni altro segno della presenza del Risorto.
Uditori
Diventare adulti nella fede significa scoprire ciò che Gesù dice: nulla mai ci potrà allontanare dalla mano di Dio. Gesù ci tiene per mano, con forza. Ci ama, come un pastore capace, come qualcuno che sa dove portaci a pascolare. Non come un pastore pagato a ore, ma come il proprietario che conosce le pecore ad una a una. Siamo stati comprati a caro prezzo dall’amore di Cristo.
Perché dubitare della sua presenza? Nulla mi può separare dalla sua mano.
La fonte della fede, l’origine della fede è l’ascolto.
Ascolto della nostra sete profonda di bene e di luce. Ascolto della Parola che Gesù ci rivolge svelando il Padre. Questo ascolto ci permette di ascoltare la nostra vita in maniera diversa, di mettere il Vangelo a fondamento delle nostre scelte.
Ci conosce, il Maestro.
Conosce il nostro limite, la nostra fatica, ma anche la nostra costanza e la gioia che abbiamo nell’amarlo. E Gesù, oggi, ci esorta: niente ti strapperà dal mio abbraccio.
Non il dolore, non la malattia, non la morte, non l’odio, non la fragilità, non il peccato, non l’indifferenza, non la contraddizione di esistere. Nulla.
Nulla ci può rapire, strappare, togliere da Lui.
Siamo di Cristo, ci ha pagati a caro prezzo.
Siamo di Cristo.
Pastori nel pastore
Sono tempi grandiosi, per la Chiesa.
Molti perdono fiducia nella Chiesa e nei suoi pastori, guardando alle mele marce (che necessitano della nostra preghiera, ma anche di essere fermate) e scordando le centinaia di migliaia di preti, di catechisti, di religiosi che vivono con generosità e correttezza il loro ministero.
Questa domenica, dedicata alla preghiera per i pastori, diventa, quest’anno, densa di significato e di coinvolgimento.
È questo il momento di pregare per i nostri pastori, questo il momento di fare penitenza, di andare all’essenziale. Di chiedere preti santi, a immagine del Santo.
Quanta sofferenza mi raccontano i miei confratelli, persone trasparenti, evangeliche, veramente avvinte dal Signore, travolti dalle cose da fare, spesso ingabbiati in una struttura e nelle attese della gente che li considera dei funzionari e non dei fratelli nella fede!
A loro papa Francesco ricorda:
Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore” – questo io vi chiedo: siate pastori con “l’odore delle pecore”, che si senta quello -; invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini.
È questo il tempo della preghiera e della conversione.
È l’intero corpo che soffre e l’intero corpo deve guarire, purificandosi, facendo penitenza.
Con sguardo profetico e spirituale, papa Francesco invita tutti noi ad accettare questo momento non per chiuderci a riccio, o lamentarci, o metterci sulle difensive, ma per stringere, forte, la mano del Signore. Nulla ci può rapire dalla sua mano.
Anche se siamo un gregge testardo, incoerente, spelacchiato, il Signore non ci abbandona.
Ancora per dire e per dirci che la Chiesa non è il popolo dei perfetti, ma dei perdonati.
Non il popolo dei giusti, ma dei figli.
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L’Autore
Paolo Curtaz
Ultimogenito di tre fratelli, figlio di un imprenditore edile e di una casalinga, ha terminato gli studi di scuola superiore presso l’istituto tecnico per geometri di Aosta nel 1984, per poi entrare nel seminario vescovile di Aosta; ha approfondito i suoi studi in pastorale giovanile e catechistica presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma (1989/1990).
Ordinato sacerdote il 7 settembre 1990 da Ovidio Lari è stato nominato viceparroco di Courmayeur (1990/1993), di Saint Martin de Corlèans ad Aosta (1993/1997) e parroco di Valsavaranche, Rhêmes-Notre-Dame, Rhêmes-Saint-Georges e Introd (1997/2007).
Nel 1995 è stato nominato direttore dell’Ufficio catechistico diocesano, in seguito ha curato il coordinamento della pastorale giovanile cittadina. Dal 1999 al 2007 è stato responsabile dell’Ufficio dei beni culturali ecclesiastici della diocesi di Aosta. Nel 2004, grazie ad un gruppo di amici di Torino, fonda il sito tiraccontolaparola.it che pubblica il commento al vangelo domenicale e le sue conferenze audio. Negli stessi anni conduce la trasmissione radiofonica quotidiana Prima di tutto per il circuito nazionale Inblu della CEI e collabora alla rivista mensile Parola e preghiera Edizioni Paoline, che propone un cammino quotidiano di preghiera per l’uomo contemporaneo.
Dopo un periodo di discernimento, nel 2007 chiede di lasciare il ministero sacerdotale per dedicarsi in altro modo all’evangelizzazione. Oggi è sposato con Luisella e ha un figlio di nome Jakob.
Nel 2009 consegue il baccellierato in teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano con la tesi La figura del sacerdozio nell’epistolario di don Lorenzo Milani e nel 2011 la licenza in teologia pastorale presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma, sezione di Torino, con la tesi Internet e il servizio della Parola di Dio. Analisi critica di alcune omelie presenti nei maggiori siti web cattolici italiani.
Insieme ad alcuni amici, fonda l’associazione culturale Zaccheo (2004) con cui organizza conferenze di esegesi spirituale e viaggi culturali in Terra Santa e in Europa.
Come giornalista pubblicista ha collaborato con alcune riviste cristiane (Il Nostro Tempo, Famiglia Cristiana, L’Eco di Terrasanta) e con siti di pastorale cattolica.
Nel 1999 è stato uno dei protagonisti della campagna pubblicitaria della CEI per l’8x1000 alla Chiesa cattolica. Come parroco di Introd ha accolto per diverse volte papa Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI nelle loro vacanze estive a Les Combes, villaggio di Introd.
Esegesi biblica
Il buon pastore (Gv 10, 1-42)
Questo brano si inserisce in un contesto più ampio che va dalla festa delle Capanne a quella della Dedicazione, che abbraccia praticamente i capitoli 7-10 di Giovanni. Valenti studiosi (per esempio, Ignace De La Potterie) ritengono che questo brano debba essere compreso alla luce di un contesto più ampio che abbraccia i capitoli precedenti.
E precisamente: Gesù che si proclama sorgente d’acqua viva (7,37-38) e luce del mondo (8,12), che rivela la sua identità nel recinto sacro del tempio (c. 8) e guarisce il cieco nato (c. 9). Si tratta quindi della rivelazione della sua persona e della sua opera.
Come viene espressamente detto nel v. 6, ci troviamo nel genere letterario della “similitudine”, che non è l’equivalente di “parabola” (la parabola, infatti, non inizia mai con un’affermazione di rivelazione o di profezia: “In verità, in verità vi dico” v. 1). Tenendo conto dei due casi in cui Giovanni (e solo lui nel NT) usa ancora tale termine (Gv 16,25.29) e del sottofondo veterotestamentario, la “similitudine” significa un parlare figurato e misterioso, che fa capire abbastanza bene il pensiero di fondo attraverso le immagini che cambiano di tanto in tanto.
Nell’espressione: “ladro e brigante” Giovanni forse s’ispirava ad alcuni episodi violenti compiuti dagli zeloti e ben noti quando scriveva. Ma l’evangelista ha soprattutto presente sia il capitolo 24 di Ezechiele, che presenta Jahwè come pastore ed accenna al futuro discendente di Davide (Ez 34,23), che il Salmo 23 che canta Jahwè come “il pastore”. Con questo vario materiale egli costruisce una stupenda teologia cristologica (Gesù è il buon pastore che chiama le sue pecore una per una), ecclesiologica (la certezza di avere il Signore stesso come guida dà sicurezza al passo della comunità, incamminata sulle strade del mondo) ed escatologica. Infatti, mentre per i sinottici il “pastore” è Dio, per Giovanni è Gesù Cristo.
Le due parole fondamentali di questa similitudine sono “recinto” e “porta”.
I recinti delle pecore erano fatti di un muricciolo dotato di una porta stretta, che dava la possibilità ai pastori di contare le pecore, che di notte venivano da loro affidate al custode. Al mattino seguente il custode apriva loro la porta del recinto e il pastore chiamava le loro pecore. Queste conoscevano solo la voce del loro pastore e seguivano solo lui, non gli estranei. Mentre uscivano al pascolo il pastore le contava perché poteva accadere che durante la notte alcuni banditi scavalcando il recinto potevano aver fatto razzia delle pecore.
Nella Bibbia, però, la parola “recinto” non viene mai usata per indicare un luogo destinato agli animali, ma lo spazio dove, durante l’Esodo, si trovava la “Tenda del Convegno”. Più tardi il termine indicherà i “cortili” del tempio. Gesù quindi si sta riferendo alle istituzioni di Israele, che avevano la loro massima espressione nella Legge
Per i farisei la legge era il luogo dove si poteva entrare ma non si poteva uscire: era un luogo chiuso. Le pecore (l’intero popolo d’Israele), dovevano attraversare questo recinto (la Legge), se volevano far parte dell’ovile (cioè se volevano appartenere al popolo eletto), sottostando alle loro interpretazioni della legge, che generalmente erano molto gravose.
Questo recinto, invece, per Gesù ha una “porta”, dalla quale egli chiama le sue pecore una per una facendole uscire. Altre pecore che si trovano in quel recinto non conoscono la sua voce o non la vogliono ascoltare. Le sue pecore invece lo seguono.
Gesù rivela inoltre di essere la “porta” non del “recinto”, ma del “tempio di Dio”. Nessuno può entrare nella casa di Dio senza passare per Gesù. Lui è l’unico che può condurre le pecore alla salvezza. Chi sta in lui sperimenta la libertà: “entrerà e uscirà e troverà pascolo” (v. 9). Solo lui è in grado di donare la vita eterna. Nessun altro invece ha il potere di donare la vita.